Se c’è una cosa
che non sopporto è essere qualificato come poeta in pubblico. I miei intimi,
credendo di farmi cosa gradita, mi investono di questa onorificenza davanti a
dei perfetti sconosciuti. Dico sul serio. Alcuni tirano fuori gli occhi dalle
orbite: un poeta in carne e ossa! Posso toccarlo? Altri arricciano il naso con
sospetto come se mi avessero colto in flagranza di reato, e ne hanno tutte le
ragioni. Altri ancora, quelli di animo più sensibile, mi offrono qualcosa da
mangiare. Pare che sia maleducazione lasciare un poeta deperire di fame. Poeta,
una parola che si presta a troppi fraintendimenti e che non dovrebbe essere
messa in bocca alla gente. Ecco un’ingiuria per screditare la buona reputazione
di qualcuno. Eppure pare che tutti abbiano la smania di incoronare di alloro la
testa del primo malcapitato. Gli si metta piuttosto un serto di spine.
Se il soggetto
in questione non fosse seriamente un poeta, allora, forse, potrebbe sopportare
questa calunnia. Ma se disgraziatamente lo fosse? Riuscirebbe a tirarsi fuori
dall’imbarazzo di essere proclamato tale? Certe robe non andrebbero dette
neanche per gioco. Tacciare qualcuno di promiscuità con le Muse, ecco un’onta
da cui non è possibile lavarsi. Un oltraggio alla pubblica decenza che disonorerebbe
un’onesta famiglia fino al quarto grado di parentela. Eppure i delatori della cialtroneria popolare
non si fanno alcuno scrupolo a inchiodare uno scribacchino di versi alla
propria infamia. Una beffa elesse il Cristo a re dei giudei, puntellandogli una
targa didascalica sopra la testa per avvelenargli il martirio: ogni investitura
è una concessione della buffoneria del volgo. Per non parlare poi delle
conseguenze sulla propria incolumità: ché forse lodando coram populo le abilità di uno scassinatore gli si rende merito?
No, direi che lo si espone a una retata piuttosto. Scrivere poesie è una debolezza
di cui un uomo dovrebbe vergognarsi, e non è il caso di strombazzarlo ai quattro
venti. Anzi, non si dovrebbe confessarlo neanche all’amico più fidato. E se lo
venissero a sapere i genitori? Non si scherza su queste cose.
Da bravo
borghese ogni poeta nasconde i suoi vizietti letterari sotto il tappeto, e non
certo per vederselo sventolare sulla pubblica piazza nell’ora del mercato. Si
passa metà della mattina alla toilette per impiastricciarsi il viso di biacca e
rendersi insospettabili, ci si strofina col sapone per cancellare il marchio di
Caino dalla fronte, ed ecco che il primo coglione per strada ti fa saltare il
travestimento. Quale ignominia! E cosa dovrebbe fare un poeta quando viene
smascherato? Saltare sul tavolo e declamare un sonetto? A questo punto persino
pubblicare una raccolta di poesie, per quanto deprecabile, non è che un perdonabile
espediente per avere un po’ di riservatezza su ciò che si scrive e passare
inosservati.
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