Durante le lezioni universitarie di diritto ero
solito coltivare gli studi alchemici e altre diavolerie per non appisolarmi. Avevo anche imbastito
la mia stanza del collegio come un laboratorio per l’esercizio delle pratiche
occulte. Dovetti però subito smontarlo per non venire bruciato come una strega
a Salem. L’obbiettivo delle mie sperimentazione faustiane era ovviamente quello
di trovare la mano di Mida con cui grattarmi il fondoschiena per i secoli a venire.
Adesso non mi occupo più di queste amenità, ma al tempo riuscii a formulare in
metrica l’intero processo alchemico per la trasmutazione dei metalli in oro - istruzioni per l'uso. Il
linguaggio, va da sé, era piuttosto esoterico. Anzi lo era a tal punto che, a
distanza di qualche anno, non ho la più pallida idea di quello che ho scritto.
Ma tant’è, eccolo qui.
OPERA MAGNA
Fantasmagorico
gioco
opera
del demonio
l’Acciaio
con il Fuoco
si
mischia all’antimonio
Salnitro
distillato
dei
tuoi fuochi incorrotti
il
Tartaro raschiato
dal
fondo delle botti
San
Giorgio e il dragone
si
sfidano a duello
e
infiamma la tenzone
a
colpi di martello
Che
a te sia consacrata
la
sua veste nuziale
femmina
ingravidata
dallo
spirito astrale
La
sua fiamma favilla
poi
muore e prende il volo
ed
il suo sangue stilla
l’acido
vetriolo
Su
vai sublimazione
della
sua vena rossa
avanti
imbibizione
l’Aquila
è stata morsa
E
si sbianca il Lattone
venerea
malattia
oh
su reincrudazione
risana
l’anemia
Petali
d’asfodelo
velate
la ferita
è
l’isola di Delo
del
pesce ermafrodita
Incesto
sublimato
nel
metallico amplesso
embrione
ingenerato
del
ribis biconvesso
Orsù
non ti fermare
maestro
demoniaco
che
sia fatto covare
con
il Sale armoniaco
Cuoci
Infante regale
delle
mie orbite vuote
il
tuo orgasmo ancestrale
afferra
sette note
È
Mercurio l’aedo
della
dissoluzione
va' Saturno negredo
della
putrefazione
Giove
sublimazione
nel
latte verginale
Luna
coagulazione
del
tuo rebis opale
O
Venus germogliante
inverdiscilo
e Marte
nutrisci
l’Infante
di
carne e non di latte
O
Sole anch’io vedo
la
tua purpurea veste
rosseggiante
rubedo
dell’aquila
a due teste
E
poi ancora a cottura
dalla
tua cicatrice
sgorga
via la tintura
dell’araba
fenice
E
per l’atto finale
che
si fondi con l’oro:
la
pietra universale
qui
termina il lavoro
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