Questa mattina vado a farmi le analisi del sangue. I miei intimi sospettano che abbia contratto il diabete, o il mal francese, o magari la peste. Insomma sono così smaniosi di ficcare il naso sull’ora del mio decesso da obbligarmi a mungere il sangue dalle vene per dissetare messianicamente l’anima dell’umanità. Ho allontanato da me questo calice fin quanto ho potuto ma ormai non posso più sottrarmi al mio sacrificio eucaristico. Così vado a farmi dissanguare il braccio. Sbrigata virilmente la pratica mi concedo una colazione per recuperare gli zuccheri che verranno addebitati sulla mia cartella clinica. Ed è proprio mentre addento il cornetto che rifletto su come investire proficuamente il resto della mattinata. Ho poca esperienza sulle iniziative da intraprendere prima dell’ora di pranzo e quali comportamenti assumere con il prossimo in questi frangenti. Per quel che ne so un uomo rispettabile dovrebbe dormire la mattina, osservare il silenzio il pomeriggio, conversare la sera e monologare la notte. Confesso però di avere più volte fantasticato su quelle attività ludiche con cui la gente affetta da disturbi di insonnia mattutina è solita affaccendarsi. Da novizio qual ero avrei potuto indagare questo spettro dell’antropologia sociale oppure…andare dal barbiere. Non che ne abbia proprio bisogno, ma si avvicinano le vacanze natalizie e voglio farmi trovare in ordine: dopotutto un’innocente vanità che sarebbe ingeneroso rinfacciare a un uomo. E poi ho voglia di provare un’esperienza adrenalinica.
Prima di continuare è il caso si sappia cosa ne penso io dei barbieri: ebbene sono le bestie più infide e canaglie che Noè abbia mai imbarcato sull’Arca. Mettete in mano un paio di forfecchie a questi ciarlatani ed ecco che giocano a fare Dio, opponendo la propria sordità divina alle nostre richieste, e come Dio godono dell’impunità per le loro negligenze.
Con sciatta tracotanza sforbiciano qualunque cosa gli capiti a tiro, sventolategli sotto naso il filo delle Moire e sforbiceranno anche quello.
Alcuni, coloro che le Muse hanno chiamato in appello, arricciano la bocca in leziose smorfiette mentre modellano le loro creazioni fin quando non siano soddisfatti di averle peggiorate. Quindi appongono la loro firma a suggello della propria abominazione.
Come il serpente ti sibilino all’orecchio le loro ciacole lascive e proprio mentre sei concentrato a ignorarle ecco che compiono il misfatto! Ti infilzano le forbici per la trachea? No, ci mancherebbe, sarebbe troppo sbrigativo per il loro sadismo famelico. Ecco cosa fanno: ti imprimono il marchio di Caino sulla testa consegnandoti all’ignominia pubblica.
A un barbiere non metterei in mano neanche le cesoie per potarmi il giardino di casa, eppure per un qualche malinteso pare siano i soli qualificati a operare sui capelli del prossimo. Ma sì, per investitura divina! Ho provato a chiedere al mio commercialista di acconciarmeli lui, mi sembrava più indicato, ma quello non vuole mai saperne di assumersi una responsabilità.
Dicevo, arrivo dal mio barbiere di fiducia. Quindi butto un’occhiata attraverso le vetrate trasparenti del locale per studiarne i movimenti: mai consegnarsi tra le braccia del diavolo senza prendere le necessarie precauzioni. E infatti c’è subito qualcosa che mi mette in allarme. Nella sala operano il sopracitato barbiere e il suo garzone di bottega addetto alla raccolta dei capelli e al lavaggio. Dubito che il padrone di casa sia così folle da affidare gli strumenti del mestiere al suo valletto, ma non posso esserne sicuro. E siccome c’è un altro cliente in attesa, con un rapido calcolo realizzo che nell’eventualità che ciò accada l’apprendista stregone me lo sarei beccato io. Così rimango fuori la porta e aspetto che sia servita tutta la clientela. Il mio è solo un eccesso di zelo, il mio coiffeur non avrebbe mai permesso a qualcun altro di trafficare sulla mia testa, figuriamoci! Sono cose che mi aspetterei da chiunque, ma da un barbiere proprio no. Sono gente perbene i barbieri. Che malfidato a ipotizzare una cosa simile. Però, così, per scrupolo, resto fuori.
E per quanto riguarda il suo aiutante, io non ho niente contro di lui. Ma ho impiegato mesi ad addestrare il mio barbiere come una scimmia e ho bisogno di garanzie. Quando l’ho conosciuto quel macellaio non sapeva neanche impugnare le forbici senza cavarsi un occhio. Gli ho insegnato tutti i trucchi del mestiere. Abbiamo imparato l’uno dall’altro, siamo cresciuti insieme. E col tempo si è creato un legame di intimità e fiducia reciproca, come quello fra una donna e il suo ginecologo. Neanche mi rivolgeva la parola durante il taglio: insomma era quello giusto. Ho avuto altri barbieri nel mio burrascoso passato. Con alcuni ho rotto malamente, e a volte ho messo di mezzo i miei avvocati, con altri ho stretto una solida laison osteggiata solo dalla lontananza (ma con cui intrattengo ancora rapporti epistolari). E poi tante storielle occasionali, spesso insoddisfacenti.
Ma lui era una mia creazione, era diventato così bravo a tagliare i capelli che nessuno avrebbe mai sospettato del fatto che fosse veramente un barbiere.
Che poi, sia detto, non sono così pretenzioso. Ciò che chiedo è un taglio classico, di una semplicità elementare, senza arzigogoli e licenze artistiche. E proprio in quanto classico sono costretto a specificarne i minimi dettagli fino a rendermi didascalico. Se invece volessi conciarmi la testa come un deficiente mi basterebbe dire “prego faccia lei, il solito”.
Quindi non mi si biasimi se mi sono messo in attesa fuori dal locale fumando una sigaretta dietro l’altra. Per nessuna ragione avrei permesso a qualcun altro che non fosse lui di toccarmi un capello.
Percorro la strada avanti e indietro come il corridoio di una sala operatoria. Qualcuno mi guarda con sospetto. Trascorro così almeno mezz’ora. Poi quando tutti sono usciti faccio la mia entrata trionfale. Noto che il mio barbiere si sta ingellando davanti allo specchio. La cosa dovrebbe già insospettirmi, ma mi convinco che si stia solo facendo bello per me.
Mi consegna nelle mani del suo operatore ecologico per il lavaggio. Sono sicuro che sia efficientissimo nell’insaponare i capelli. Questo è quello che dovrebbe fare un garzone di bottega. E poi chissà, un giorno magari diventare un abile acconciatore. Purché non faccia pratica sulla mia testa. Mentre sono seduto a farmi massaggiare la cute, il mio barbiere mi domanda con insolito entusiasmo se stessi bene. Certamente, ho forse motivo di stare male? Anche questa domanda mi insospettisce: quando un barbiere inizia a sincerarsi sul tuo umore vuol dire che sta tramando qualcosa di losco. Mi chiede come voglio il taglio mentre sto svolgendo ancora le mie abluzioni. Glielo spiego. Poi al suo segnale mi alzo e mi faccio strada verso la sedia, percorrendo il tragitto con lo spirito di un uomo che vada al patibolo.
Eccomi qua,“tel qu'un ange aux mains d'un barbier”. Mi sono appena messo comodo quando quella carogna, quel Giuda, di colpo saluta e se ne va al diavolo lasciandomi tra le chele del suo commesso. Ma prima di andarsene il farabutto ha la gentile accortezza di dargli alcune sinottiche istruzioni su come eseguire il taglio, in lingua sanscrita. Bene, anni di formazione professionale sintetizzate in un paio di frettolosi ammonimenti.
Mi sento gelare il sangue ma non riesco a scendere dalla sedia come se mille striglie mi leghino ai braccioli.
Dove se ne va quel vigliacco? A un appuntamento romantico? Al capezzale della mamma malata di un tumore inguaribile? Non riesco a trovare una giustificazione alla sua ignobile fuga. Niente che possa avere la priorità sul mio taglio di capelli. Avrei voluto cavargli i denti ma il codice etico vieta di assassinare il proprio coiffeur.
Ci tengo però a rassicurare il pubblico sulle condizioni della sua mamma: gode di ottima salute, e in questo momento sta presumibilmente mercificando il suo corpo nei vialetti della stazione.
Resto quindi seduto sulla garrota mentre il mio boia affila gli strumenti di tortura.
Quello che è accaduto in seguito è disdicevole e mi imbarazza parlarne.
Dirò solo che ha edificato un cimitero sulla mia testa e ci ha ballato il sabba.
Nell’eco dei suoi sforbiciamenti odo lo scalpiccio dei cavalli di Attila che galoppano sulla mia testa.
Avvilito mi lascio perpetrare le più inumane angherie. Non riesco neanche a piangere. A metà dello scempio mi domanda se gradisco altri ritocchi. Che altro poteva farmi mi chiedo? Defecarmi sulla testa? Sputarmi negli occhi? Va bene così. Gli avessi chiesto di continuare mi avrebbe probabilmente tagliato un orecchio. Ecco, prendi il mio scalpo! Umiliato e stuprato nell'intimo mi dirigo alla cassa. Ho solo due scelte: pagarlo o denunciarlo alla Polizia. Lo pago e me ne vado. Una volta a casa avrei chiesto al mio cane di aggiustarmi il taglio.
Quindi ciondolando come uno spettro mi appoggio alla specchiera del bagno e lì “riconobbi l’empia abominazione che mi ghignava davanti mentre ritraevo dalle sue le mie dita”.
Non so quale morale si possa trarre da questa storia. Forse che un uomo non dovrebbe mai prendere nessuna iniziativa prima di mezzogiorno.
A proposito, tra una settimana mi verranno recapitati i risultati delle analisi: spero mi venga diagnosticato qualcosa di mortale.
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