Questa
intuizione mi cadde nel piatto mentre aspettavo che la servitù apparecchiasse il pranzo a tavola. Benché ritenga che niente
stuzzichi la riflessione intellettuale più dell’appetito ho sempre osservato il
rigido precetto di non prestarmi a elucubrazioni teoretiche nell’ora dei
pasti, e quindi dovetti appuntarmela sul tovagliolo. Ebbene partiamo dal
principio.
Immaginiamoci il primo uomo, una sorta di Robinson Crusoe trovatosi
invischiato nell’esistenza. Dopo il suo naufragio nella Creazione per opera di
un sadico demiurgo dovette sentirsi piuttosto disorientato. Eccolo che si guarda intorno grattandosi la testa: nessuno gli ha dato istruzioni. E adesso
che faccio? A un certo punto suppongo abbia sentito un brontolio
nello stomaco. Questo bisogno, che non poteva saziare con uno sbadiglio, lo
distrasse per un po’ dai suoi dubbi ontologici. Ed ecco, in quel preciso istante, vide sfilargli da sotto il naso un succulento anatroccolo. Per qualche ragione
intuì che fosse commestibile: dopotutto l'ansia esistenziale è un digestivo dalle miracolose proprietà metaboliche nonché l'impulso primordiale che lo spinse a fagocitare il Creato per appagarne l'isteria bulimica. Perciò si leccò i baffi, prese la sua clava e,
pardon, gli sfracassò la testa. Una volta pappatoselo fino all’osso non
dubitiamo che lo abbia trovato piuttosto insipido. Ma proprio quel primo
assaggio, come il morso al frutto proibito, lo indottrinò sul buono e il
cattivo innalzandolo a una dimensione morale. Che cosa sono in fondo le
categorie etiche se non una fisima del gusto? Scoprendosi al vertice della
catena alimentare dovette far fronte al panico della noia cioraniana, e
riconvertire il nutrimento come palliativo per il vuoto esistenziale. L’arte
culinaria divenne allora il rituale per esorcizzare la crudità della natura ed
eludere il circolo vizioso delle sue necessità. “Come me lo cucino questo
anatroccolo?” - si sarà dunque chiesto - “Marinato? Con verza e
germogli? Laccato alla pechinese? Al cardamomo?”. La civiltà, che nacque per
partenogenesi dalla speculazione filosofica, fu un prodotto dei suoi vezzi
gastronomici. Il buco nello stomaco come ipostasi del proprio abisso interiore,
scongiurato dai capricci del palato fino al decadentismo edonista.
Che la prima
crociata sia stata indetta da Pietro l’Eremita perché aveva finito il pepe a
tavola è sui libri di storia. Che la caduta dell'Impero romano fu conseguenza delle bizzarrie culinarie di Eliogabalo e che l’Inghilterra e la Francia si fecero la guerra
per cent’anni dopo una disputa enologica fra i due sovrani lo è altrettanto. Che il cristianesimo abbia fatto la sua rivoluzione nel refettorio è scritto nei Vangeli (Marco 7,19). Che
per l’invenzione dell’Occidente abbia contribuito più il foie gras di Aristotele, questo nessuno lo ha mai confutato.
Uh sei proprio tu?? Da affezionato lettore del tuo Blog prima o poi ti offrirò una birra e studieremo un piano per anticipare l'Apocalisse di qualche settimana;)
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