Una volta fui invitato in catene nella sede di un noto movimento comunista. Confesso che
mi sentii subito a disagio poiché i personaggi che sporgevano il naso dai
ritratti esposti nella sala avevano l’aria di essere gente che avrei
dovuto conoscere, e i loro sguardi accigliati sembravano rimproverare la mia
impunita ignoranza sul loro conto. Ricordo anche che dovetti presenziare a un'intera ora di conferenza sulla guerra in Siria fingendo di non russare, il che fu un compito davvero ingrato dal momento che i conflitti internazionali mi causano sonnolenza. Ma ciò che più mi rimase impresso di quell'esperienza pedagogica fu quanto sentenziò uno dei miei precettori cui era stato demandato il compito di indottrinarmi: “È ingiusto che solo i ricchi possano avere una Ferrari, anche l’operaio ha diritto ad averne una”. Disse, non senza un surplus di sovreccitata indignazione proletaria. Riflettendo mi resi conto che proprio
in questo paradosso si risolve la sintesi del comunismo. Il liberalismo invece
esige che sia solo il ricco a possedere una Ferrari, non fosse altro che per
dare un valore alla Ferrari, il che rappresenta comunque un dimezzamento del
problema. Personalmente non ho niente contro la Ferrari, ma se l’Uomo è in
grado di progettare qualcosa di inappuntabile pregio estetico come una Ferrari
dovrebbe poi avere anche la fermezza di vietare sia al ricco che al povero di
accomodarci sopra le proprie natiche.
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