Eccoli qua,
supponenti e tronfi, sventolare i propri scarabocchi pasticciati nei vernissages scolastici sotto l’occhio compiacente di maestre e
genitori.
Nel frattempo
orde di svenevoli mocciosette si accovacciano adoranti ai loro ginocchi
mentre sorseggiano una coppa di latte a suggello della dissolutezza del proprio
talento.
Tra tartine al
caviale e vol-au-vent alcuni audaci si avventurano a interrogare le loro opere,
ticchettandosi i barbuti menti, e le Pieridi ne grattano le fronti per
ingravidarle di spocchiosa sapienza.
Insuperbiti da quelle smancerose blandizie, i petulanti miliziani dell'arte corrugano in una smorfia gli efebici volti ancora sanguinanti di vernice dopo aver impunemente sgozzato la Bellezza sull'altare delle loro tele ed essersene litigati le spoglie: il liturgico olocausto con cui questi maldestri beccai appagano i loro carnefici appetiti immolandola in sacrificio alla propria adulazione.
Tento di
avvicinarne uno per farmi autografare una litografia, ed ecco che il piccolo
insolente volge altrove la sua testa riccioluta schernendomi col riso
sprezzante del genio.
I grembiulini
unti tradiscono la loro promiscuità con la simonia del mercimonio artistico,
camuffata sotto i vapori sulfurei del borotalco, e come avidi postulanti
perquisiscono le tasche del mecenatismo governativo con le dita impiastricciate. L’ispirazione li appestò col suo marchio pizzicando di
pustole le loro guance, stimmate prepuberali della propria elezione estetica.
Ebbene ne ho
fin sopra i capelli della “merda d’artista” covata sul vasetto da questi
profanatori di tele: nient’altro che sgorbi per soffiarci i loro nasini
mocciolosi.
Occorre dirlo,
e mettere fine al malinteso che ha avvelenato la Bellezza al capezzale del
manierismo d’avanguardia:
un bambino non
può dipingere come un Matisse, perché occorre essere un Matisse per saper
dipingere come un bambino.
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